Nella modello culturale in cui viviamo, centrato e fondato sull’efficienza, sul successo, sul mito della gioventù, sulla forza e sulla bellezza occuparsi della morte stride un po’, suona di macabro e di sacrilego, come stessimo violando una sorta di tabù. Solo a pronunciarla la parola “morte” fa un certo effetto così, in modo anche un po’ scaramantico, nel modo comune di esprimerci preferiamo usare affermazioni come “è mancato”, “è passato a miglior vita”, “ha un male”, ecc. Tutte frasi che ci tutelano dalla crudezza che ha l’impatto con la morte anche solo nel lessico comune.
Così, in una cultura dove la morte è un tabù, chi si trova a dover fronteggiare la perdita di una persona cara si trova spesso impreparato e non riesce da solo a gestire emozioni così intense come il dolore, l’angoscia o l’isolamento rimanendo pertanto impantanato nella densità di questi vissuti. Questo impedisce al lutto di trasformarsi e venire man mano digerito e ne fa una sorta di cristallizzazione che rimane fissa nello stato d’animo della persona.
Un aiuto in questo senso rappresenta una possibilità di attraversare, accompagnati dal proprio terapeuta, i meandri del dolore, della rabbia e dell’angoscia per poi, alla fine, trovare un senso al proprio patire che lo renda un po’ più sopportabile e un po’ più dolce. La trasformazione da un dolore “che impedisce di” a un dolore “che permette di” costituisce un cambio di prospettiva dal quale è possibile ricominciare dotando di un senso nuovo la propria vita e ri-progettandoci nel mondo con una visione più ampia dell’esistenza.
L’elaborazione del lutto è uno dei campi cui mi sono più interessato e che continuo ad approfondire nella mia vita professionale conducendo dei gruppi, aiutando le persone nella terapia individuale e intervenendo in numerose conferenze o corsi di formazione.